Il cardinale Becciu e la lettera all’Osservatore Romano.
Angelo Becciu, cardinale coinvolto sulla gestione dei fondi della segreteria di stato, ha dichiarato di aver visto il diritto alla difesa, seppur garantito, a dura prova. Lo ha fatto in una lettera pubblicata dall’Osservatore Romano, in cui risponde alle tesi espresse da Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione, nel suo articolo intitolato Processo giusto e trasparenza, a commento delle motivazioni della sentenza di primo grado sul processo riguardante gli investimenti finanziari della Santa Sede a Londra.
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Becciu afferma di rendersi conto che in alcuni casi le azioni del sostituto possano risultare incomprese e riconosce di non essere esente da errori, situazione che ritiene comune a chiunque ricopra ruoli con competenze vaste e delicate. Tuttavia, sostiene di essere sempre rimasto entro le proprie prerogative, agendo con totale fedeltà alla Santa Sede, come ha ripetuto più volte durante il processo.
Il cardinale dichiara che ci sarà un momento per discutere le prove a suo favore, che a suo parere sono state trascurate nella sentenza, così come degli altri errori riscontrati nelle motivazioni. Respinge nuovamente l’accusa di aver truffato il Papa nella vicenda relativa alla liberazione di una religiosa sequestrata in Mali e ai presunti rapporti con Cecilia Marogna, definendo tali accuse inaccettabili e non supportate da prove.
Becciu sottolinea di aver sempre servito lealmente il Santo Padre e che l’operazione umanitaria concordata con il Papa era l’unica finalità dell’iniziativa. Riguardo all’investimento di 200 milioni di euro nel fondo di Mincione, chiarisce che la somma fu impiegata con l’approvazione del Superiore dell’epoca e con il sostegno dell’Ufficio preposto agli investimenti, inclusa l’approvazione del capo dell’Ufficio Amministrativo, la cui posizione è stata archiviata, come ricordato nella stessa sentenza.
Conclude infine osservando che l’articolo di Tornielli sembra considerare lui e tutti gli imputati già condannati in via definitiva, senza menzionare che il processo è ancora in primo grado e che tutti hanno diritto all’appello, rimanendo presunti innocenti.