I casi di violenza di genere a Sassari.
“Ricorda la metafora?”, chiede Alessandra Nivoli, direttrice del Centro di vittimologia di Sassari. “La rana viene messa in acqua tiepida. Si accende il fuoco, arriva l’ebollizione, e la rana sopporta senza reagire finché non finisce bollita”. Il parallelo calza a pennello e descrive la condizione delle tante donne, che chiedono aiuto al centro ospitato dalla clinica psichiatrica del San Camillo. “Arrivano all’ultimo, nel pieno della violenza fisica – continua la professoressa Nivoli -. Ma quella psicologica di mariti e compagni è iniziata molto prima”.
E la pandemia l’ha aggravata. Il fenomeno della violenza di genere, silenziato dal primo lockdown, ha ripreso infatti voce con la seconda ondata covid. “Sono aumentate le richieste di sostegno”, spiega la psichiatra. “Al momento assistiamo più di 60 vittime”. Un termine da prendere con le pinze. “Qui non esistono “vittimismi”, nell’unità curiamo persone che hanno subito importanti traumi psichici”. Il servizio è fornito gratuitamente dall’Aou, e i contatti si trovano sul sito dell’Azienda alla voce “Servizi al cittadino”. “Non seguiamo le liste d’attesa del Cup e nel giro di una settimana riusciamo già a incontrare le pazienti”, sottolinea la dottoressa. Che è supportata da 3 collaboratori, tra cui due psicologhe e un criminologo, docente di antropologia medica, Cristiano Depalmas, che si occupa in particolare degli adolescenti. E le vittime, infatti, sono anche i giovanissimi, maschi e femmine, che, per le madri, rappresentano il punto di non ritorno.
“Tante donne si ribellano, finalmente, quando, nel contesto familiare, vedono aggrediti anche i figli”. Ma qual è lo specifico sassarese del problema? “Bisogna sfatare il luogo comune sul matriarcato sardo”, puntualizza la Nivoli. “Chi tormenta, il più delle volte, ha atteggiamenti da ‘balente’.” Ma al di là del dettaglio cittadino, il trend è nazionale, e destinato ad aggravarsi: “Ci sono e ci saranno ricadute molto gravi sul tessuto socio-economico.” Effetti collaterali che in tanti non vedono, politici compresi. “Ci vogliono risorse. Noi siamo troppo pochi”, incalza la professoressa, che dalla trincea psichiatrica vede montare l’onda lunga, lunghissima, dell’emergenza sociale.