L’intervento del sindaco di Porto Torres sul Dpcm energia in Sardegna.
“Il Dpcm sulla transizione energetica nell’isola riporta la Sardegna all’epoca in cui era una colonia“. Il sindaco di Porto Torres, Massimo Mulas, commenta così lo schema di decreto firmato giovedì sera dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e inviato agli enti locali.
Secondo il primo cittadino, il documento presenta diverse criticità: “In primo luogo non è il frutto di alcuna attività di concertazione, soprattutto con i territori dove sono presenti insediamenti industriali e su cui ricadono le scelte del governo: siamo stati consultati marginalmente; secondariamente, prospetta un risultato inaccettabile: la Sardegna dal punto di vista energetico non sarà autosufficiente, ma dipendente da depositi in Continente e da un cavo collegato alla Sicilia. Poi punta su una soluzione, il gas metano, che poteva essere considerata innovativa quarant’anni fa: mentre in altre regioni del mondo si guarda avanti e si ragiona sull’idrogeno, ai sardi viene prospettato un intervento che nasce vecchio. Senza contare che, sul tema delle rinnovabili, il decreto è assolutamente fumoso. Ci sarà un problema di sovrapposizione di spazi nelle aree industriali: nelle zone infrastrutturate come quella di Porto Torres gli impianti fotovoltaici ed eolici dovranno scalzare le attività imprenditoriali? E, soprattutto, si è tenuto conto del fatto che le imprese, oltre agli spazi, hanno necessità che l’energia loro destinata sia programmabile? Suona infine paradossale che, nell’ultimo comma del Dpcm, si dispongano da subito agevolazioni per tariffe per un servizio che non potrà decollare prima del 2025″.
A parere del sindaco Mulas il punto centrale è proprio la mancanza di ascolto: “Il territorio si era espresso a favore del deposito a terra, una soluzione che sarebbe stata idonea anche per un futuro utilizzo dell’idrogeno, che sfrutta la stessa tipologia di serbatoi, oltre che per l’impatto occupazionale. Invece avremo a che fare con un deposito galleggiante a mare, peraltro da soli 25mila metri cubi di gas che, teoricamente, dovrà servire tutto il Nord Sardegna (ma forse a malapena utilizzabile solo per la centrale di Fiumesanto). Quello che sconcerta è che i principali investimenti economici verranno fatti fuori dalla Sardegna. Chiediamo con forza che, prima della sottoscrizione del Dpcm da parte dei ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture, enti locali e parti sociali vengano coinvolte e consultate. Sarà l’occasione per chiedere conto anche delle infrastrutture che la Sardegna attende da troppo tempo: gli interventi oggetto del documento vengono definiti ‘indifferibili e urgenti’. Ma non si può fare la rivoluzione energetica se non si porta il resto della Sardegna fuori dal passato: perché il Dpcm produca davvero i suoi effetti è necessario dotare l’isola di reti ferroviarie e stradali moderne e funzionali, rilanciare i porti e gli aeroporti e riprogettare il ciclo dei rifiuti. Non si può progettare la transizione energetica senza prendere in mano questi argomenti”.
A questo appello si aggiunge un’ulteriore considerazione di carattere generale: “Ci sembra di urlare nel deserto quando chiediamo che si faccia un ragionamento complessivo sulle opportunità e sulla criticità rappresentata dalla transizione energetica. È assurdo che un territorio come il nostro, che ha un’area industriale attrezzata e pronta a essere riconvertita, non venga coinvolta in processi che porteranno benefici ma che avranno anche alti costi economici e sociali che andranno gestiti. Questo mi spaventa: che si stia affrontando una fase epocale senza comprendere fino in fondo chi sia al timone di comando e quale sia il piano di viaggio“.