Il giallo sulla morte del farmacista di Alghero nel carcere di Uta.
Nel carcere di Uta, dove stava scontando una pena di 9 anni, è morto Paolo Ledda, farmacista di Alghero. La sua condanna era legata a un episodio accaduto il 12 giugno 2019, quando si era verificato un tentativo di far esplodere una bombola a gas presso la sede della Unipol in via XX Settembre nella Riviera del Corallo.
Inizialmente, Ledda era stato condannato a 12 anni di reclusione, ma successivamente la sentenza era stata ridotta a 9 anni in Corte d’appello a Sassari. Per fare chiarezza sulla morte dei Ledda, la Procura di Cagliari ha aperto un’inchiesta contro ignoti, l’accusa è di omicidio colposo.
La notizia della morte di Paolo Ledda dietro le sbarre del carcere ha generato sgomento e ha sollevato interrogativi che vanno al di là delle indagini giudiziarie. “La morte dietro le sbarre di una prigione genera sgomento e suscita interrogativi che vanno aldilà di un’inchiesta della magistratura. Al dolore dei familiari e degli operatori penitenziari per la scomparsa di una persona ci si chiede, purtroppo, ancora una volta, che cosa si può fare per evitare fatti così traumatici“. Lo afferma Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla morte del 57enne.
“Questo episodio, i cui contorni saranno chiariti anche attraverso una eventuale perizia necroscopica disposta dal magistrato, richiama – osserva Caligaris – l’urgenza di una sanità penitenziaria adeguata ai bisogni di donne e uomini privati della libertà. E’ vero che l’intero sistema sanitario regionale sta mostrando tutte le manchevolezze accumulatesi negli anni, ma è altrettanto vero che le carenze sono diventate urgenze e manca una vera e propria integrazione tra il Reparto diagnostico terapeutico della Casa Circondariale, strutturato e gestito da Asl e Areus, con quello degli analoghi reparti degli ospedali. Il direttore sanitario di Cagliari-Uta ha lo stesso grado di competenze e responsabilità di un collega dirigente ma per disporre un ricovero deve chiedere il permesso e così anche per un qualunque intervento chirurgico, a meno che il paziente-detenuto non sia in punto di morte. Per non parlare delle condizioni di vita di chi soffre di disturbi psichiatrici. Persone che, se non sono in isolamento, sostano nelle celle inermi con psicofarmaci“.