La dottoressa sassarese Giusi Canestrelli ha trascorso un anno in Antartide.
Da Sassari all’Antartide e ritorno. Un anno al gelo dell’emisfero australe si è appena concluso per la dottoressa Giusi Canestrelli, responsabile del reparto di cardio-anestesia dell’ospedale civile del capoluogo turritano. “Sono andata per mettermi alla prova – rivela – come persona e come medico”.
La sfida si apre nella base italo-francese Concordia, promossa da Enea – l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie – e Pnra – Programma nazionale di ricerche in Antartide – con l’Ipev gallica, insieme a dodici studiosi e tecnici, di cui la Canestrelli è stata l’angelo custode in camice bianco, che tra i ghiacci leggono il passato e ipotizzano il futuro. “La missione – ci spiega – studia i cambiamenti climatici, la sismologia, il geomagnetismo e il paleoclima”. Quest’ultimo aspetto coi carotaggi rivela i valori abnormi della CO2 negli ultimi duecento anni: “Ma dell’emergenza clima siamo stati diretti testimoni vedendo i ghiacciai staccarsi e registrando temperature troppe alte d’estate”. Ovvero meno trenta gradi che invece, d’inverno, scendono fino a meno 120.
“Qui non può vivere nulla, neppure microbi e batteri. E’ il luogo più arido del pianeta”. Il team, composto da glacialogi, astrofisici, tecnici, lavora sul sito Dome C a 3300 metri di altitudine che per un problema di schiacciamento ai poli pesano come se fossero quattromila. “La saturazione arteriosa decade perché si dispone del 30 per cento di ossigeno in meno causando un perenne affanno. All’arrivo alla base, per esempio, avevo 76, un valore da intubazione”. Sul plateau antartico cala poi la notte lunga da fine marzo a inizio settembre coi suoi effetti sull’umore: “Ci vuole disciplina mentale per scacciare l’umore cupo. In alternativa si poteva disporre di uno psicologo in collegamento telefonico”.
Eppure quel luogo così inospitale funge da incubatore perfetto dello slancio di scoperta umano: “Assieme a noi c’era anche un ricercatore dell’Ente spaziale europeo in previsione di futuri viaggi interplanetari”. Perché stare sul ‘Marte bianco’, come viene definito l’Antartide, permette di capire cosa significhi stare sul pianeta rosso nel prossimo futuro traendo indicazioni “dall’isolamento completo, dal buio, dalla sociologia dell’equipaggio”. Ma l’avvenire e la tecnologia arretrano davanti alla rivalutazione del proprio sapere empatico: “Questa esperienza mi ha permesso di riappropriarmi di una medicina fatta solo delle tue capacità, secondo la clinica e l’intuizione, senza poter contare troppo sugli strumenti diagnostici“.
Tre i casi gravi che la dottoressa ha dovuto risolvere durante la sua permanenza: “Gravi perché ci trovavamo in un luogo dove per mesi è impossibile evacuare nessuno al contrario della stazione spaziale orbitante a 400 km sopra di noi in cui, in caso di emergenza, bastava un’ora per avere soccorsi!” Situazioni complesse ma non quanto quelle vissute dalla Canestrelli nella sua esperienza di medico nei teatri di guerra- da Kabul al Sudan al conflitto serbo-croato – con Emergency e altre Ong: “Lì la componente emotiva è molto forte. Abbiamo curato bambini colpiti dalle bombe che arrivavano senza arti o occhi“.
Un capitolo forse concluso della sua vita mentre a breve, dopo 38 anni di professione, Giusi Canestrelli andrà in pensione. “Non smetto di esercitare. Darò una mano nel poliambulatorio di Santa Maria di Pisa creato da Emergency”. Proprio quell’associazione che le ha permesso di dare corso alle sue origini nomadi – “Mio padre – rivela – era un circense” – viaggiando per il pianeta. “Probabilmente è questa componente genetica che mi ha condotto a certe scelte di vita. Scelte che, non posso negarlo, sono state anche egoistiche”. Un egoismo che però ha aiutato molte persone, dai paesi caldi fino ai ghiacci della calotta antartica.