La lezione della Dinamo al Contamination Lab.
Essere se stessi, coltivare la propria passione, esercitarsi allo sfinimento senza crearsi alibi. È il messaggio di Gianmarco Pozzecco e Stefano Sardara per i futuri imprenditori del Contamination Lab dell’Università di Sassari. L’allenatore e l’imprenditore presidente biancoblù – diversi eppure molto simili nell’etica di un lavoro che ha la “Dinamo Basket Banco di Sardegna” come epicentro – all’interno dell’incubatore universitario CubAct dell’Università di Sassari hanno parlato di gioco di squadra, leadership, impresa sostenibile.
Il Contamination Lab è un percorso formativo dell’Ateneo di Sassari aperto a studenti e studentesse provenienti da tutti i dipartimenti e da tutti i cicli (laurea di primo e secondo livello, dottorato) che desiderano “contaminarsi” e allenarsi attorno a un’idea d’impresa. Ovviamente la prima cosa da fare è trovare l’alchimia giusta per un gruppo di lavoro funzionante.
“Io comincio dalla scelta dei giocatori che devono avere certe caratteristiche di umanità ed empatia fondamentali per stare in squadra”, ha detto Pozzecco. Ricordando i suoi trascorsi da giocatore, il coach ha sottolineato come l’obiettivo in quel caso fosse prima di tutto giocare bene e fare molti punti. L’allenatore invece deve vincere e il suo lavoro, diversamente da quello del giocatore, viene giudicato a lungo termine, cioè a fine stagione. La pressione è alta, ma è importante non farsi influenzare e rimanere sempre concentrati sull’obiettivo.
“Teoricamente fare l’allenatore è facile, perché basterebbe essere se stessi – ha detto coach Pozzecco, per tutti “Il Poz” – In realtà è molto complicato perché bisogna avere la forza di non farsi condizionare da ciò che succede, dalle nostre paure e dalle nostre insicurezze. Ci si riesce solo se si ha una grande passione. Fare le cose credendoci e avendo passione è un talento”.
L’idea di Pozzecco è che l’allenatore non debba essere egoista e autoritario, ma una persona altruista, che pensa prima di tutto al benessere dei giocatori e li considera nel loro insieme: come persone complete e non solo come professionisti chiamati a compiere un lavoro. Affinché il clima sia quello giusto, quello in cui diventi quasi naturale vincere 22 partire di fila, il coach ha il dovere di osservare e capire i giocatori giorno per giorno, ascoltare le loro esigenze, metterli nelle condizioni di dare il meglio anche quando è dura, anche quando la bontà di un’intera stagione dipende dalla voglia di lanciarsi su quell’ultima palla decisiva, a due secondi dalla sirena finale.
Il lavoro di chi tira le fila dell’azienda per certi versi è simile perché la Dinamo, come ogni impresa, è costituita da tante parti diverse, ognuna portatrice di differenti istanze. “Fare squadra deve essere veramente la sintesi delle istanze di tutti”, ha affermato il presidente Stefano Sardara, in relazione all’importanza di gestire i conflitti. Ma ci si deve credere per davvero in questo gioco di squadra, non solo a parole.
“La via breve non esiste. Esiste la conoscenza, la competenza, il sacrificio e lo studio. Ci vuole entusiasmo, ma con i piedi per terra – ha proseguito -. Non innamoratevi di un’idea senza prove concrete di sostenibilità. I contributi pubblici? Sono solo un di più, dovete immaginare il vostro business senza di essi”.
Sulla difficoltà di fare impresa in Sardegna, Sardara ha voluto sfatare alcuni miti: “Ci sono imprese che funzionano anche in una realtà isolata. Ricordate che c’è una fetta di mercato che ama e ricerca l’isolamento. Siate orgogliosi di ciò che abbiamo, cioè quest’isola, e individuate bene il vostro mercato”.