La battaglia di una delle tante figlie che hanno perso un genitore.
Si era battuta con ogni mezzo, anche attraverso i media, per dare voce a tutti gli anziani dell’Isola ricoverati nelle case di riposo, al fine di sollecitare le Autorità competenti all’adozione di “necessarie misure di tutela degli operatori e dei pazienti, senza le quali questo virus diventerà presto sinonimo di sterminio”: così scriveva in una toccante lettera rivolta alla stampa, con una profezia che purtroppo si è avverata.
Il suo accorato appello pubblico agli Enti preposti, al Prefetto della provincia di Sassari in primis (“aiutateci a poter rivedere e riabbracciare vivi i nostri cari”), affinché si estendesse l’obbligo della copertura del tampone a tutto il personale sanitario regionale, anche a quello asintomatico, si rafforzassero i laboratori preposti per le analisi e si dotasse il personale dei dispositivi di protezione individuale necessari, qualche risultato lo ha prodotto. Ma non è bastato a salvare la mamma.
Ieri, 9 luglio 2020, S. R., la figlia di una delle tante, troppe vittime da coronavirus (una trentina registrate nella struttura per la terza età di Sassari), col supporto di Studio3A-Valore, ha deciso di denunciare tutti i fatti con un formale esposto depositato presso la stazione dei carabinieri di Sassari, la sua città, e diretto alla Procura sassarese che, per il tramite del Pubblico Ministero, Paolo Piras, ha già aperto più fascicoli e svariati filoni d’inchiesta sul caso “Coronavirus” nelle Residenze Sanitarie Assistenziali, e dovrà stabilire appunto se nelle strutture sia stato fatto tutto il possibile per tutelare pazienti e operatori sanitari.
La vicenda della mamma di S. R., che aveva 68 anni ed era del tutto non autosufficiente, è simile a quella di tanti altri anziani. La donna era affetta da sclerosi multipla e, al fine di assicurarle la miglior assistenza possibile, a seguito di una valutazione da parte del Distretto Sanitario di Sassari, in accordo con i Servizi Sociali del Comune, da due anni era ricoverata nella Rsa San Nicola di Sassari.
Tra fine febbraio e inizio marzo 2020, quando la pandemia ormai si stava manifestando, la Rsa chiude le porte ai parenti degli ospiti, in applicazione del Dpcm del 4 marzo: da allora i contatti con la mamma si riducono a una sola, breve telefonata quotidiana, e le video-chiamate sono possibili solo con l’ausilio del personale della struttura. É proprio durante una video chiamata che S. R. ha modo di notare come l’operatore sanitario in ausilio alla madre fosse del tutto sprovvisto dei più elementari Dpi, come la mascherina.
Il 19 marzo la figlia della paziente viene informata, dal personale amministrativo della Rsa, che all’interno della struttura sono stati effettuati quattro tamponi, tre dei quali risultati positivi: degenti che, non potendo essere trasferiti, sarebbero rimasti in isolamento presso la stessa San Nicola. Sono le prime avvisaglie di quello che diventerà uno dei più gravi focolai della Sardegna, con giornate drammatiche come quella del 28 marzo, quando si contano cinque morti in 24 ore, o del primo aprile, nella quale è l’assessore Regionale alla Sanità, Mario Nieddu, in persona, a comunicare il primo bilancio-shock dei tamponi, a cui sarebbero poi stati sottoposti tutti i 120 ospiti: 44 positivi sui 55 test effettuati. Quasi tutti.
Dal 19 marzo non arrivano altri aggiornamenti ufficiali da parte della struttura, se si eccettuano le rare comunicazioni (a titolo privato) da parte del personale. La situazione, sempre più preoccupante e insostenibile, spinge S. R. ad attivarsi e inoltrare un primo appello alle Autorità interessate, mobilitando insieme anche la stampa. Dagli altri familiari si apprende poi che la struttura ha modificato la distribuzione di spazi e ospiti, creando tre diverse zone: una rossa che ospitava i pazienti già risultati positivi al coronavirus, una intermedia in cui avrebbero collocato i pazienti che già presentavano alcuni sintomi, e un’altra “pulita” che ospitava i soli pazienti asintomatici, fra cui la mamma di SR. E, soprattutto, a seguito di un nuovo e ulteriore appello pubblico, intervengono anche le Autorità, in particolare quelle mediche militari, rifornendo di Dpi la struttura, e iniziando la somministrazione dei primi tamponi, tra cui quello che viene effettuato proprio alla madre di S. R., la quale risulterà puntualmente positiva.
E’ il 29 marzo, la paziente in poche ore palesa un peggioramento delle sue condizioni e nella stessa giornata viene trasportata d’urgenza in ambulanza al Pronto Soccorso del Santissima Annunziata, per poi essere trasferita – proprio mentre si trova qui arriva l’esito del tampone – nella sezione Covid-19 del Reparto Pneumologia delle Cliniche San Pietro di Sassari. Sembra che la 68enne possa farcela, e le sue condizioni appaiono stabili, tanto che si decide di trasferirla, il 6 di aprile, al Policlinico di Sassari. L’arrivo al Policlinico, però, coincide, inspiegabilmente, con un nuovo e ulteriore peggioramento, tanto che lo stesso giorno viene ricoverata nel reparto di Terapia Intensiva dello stesso nosocomio, dove spira la sera del 19 aprile.
Da qui la figlia della donna assistita dallo Studio3A-Valore ha presentato un esposto all’autorità giudiziaria, chiedendo di effettuare tutti gli accertamenti del caso per verificare i profili di responsabilità in capo ai medici, agli operatori e, soprattutto, al direttore Sanitario e alla società di gestione proprietaria della Rsa: non solo per la mamma, ma per tutti gli ospiti che non ci sono più.