A rischio l’assistenza sanitaria nel Sassarese.
Le recenti dimissioni di tre giovani medici di medicina generale a Sassari hanno acceso nuove preoccupazioni all’interno della categoria. A intervenire, con toni fermi, è la Segreteria Regionale della Sardegna del Sindacato Medici Italiani (Smi), che esprime profondo rammarico per quanto accaduto e denuncia un quadro lavorativo ormai insostenibile, spesso sottovalutato dai vertici della sanità territoriale.
Medici sotto attacco in seguito alle dimissioni.
Il sindacato non nasconde l’amarezza nel constatare come, nel dibattito seguito alle dimissioni, si sia fatto riferimento alla presunta “comodità” di certe richieste da parte dei medici. Una semplificazione che, secondo lo Smi, non tiene conto della reale portata del lavoro quotidiano del medico di base nel 2025. Prendersi cura degli altri non può essere assimilato ad alcun altro mestiere, poiché il margine di errore, in medicina, si traduce direttamente in rischi per la salute e per la vita delle persone. Una responsabilità enorme che richiederebbe condizioni di lavoro adeguate e sostenibili, cosa che – a giudicare dai fatti – spesso manca.
Il sindacato sospetta che proprio questo scenario di sovraccarico e affaticamento professionale, unito alla mancanza di tutele come la possibilità di assentarsi per malattia, abbia spinto i tre giovani medici sassaresi a lasciare l’incarico. Una scelta difficile, che però fotografa la frustrazione crescente nella categoria. Lo Smi sottolinea come un minimo di flessibilità nella gestione del numero massimo di pazienti,il cosiddetto “massimale”, avrebbe potuto evitare l’epilogo delle dimissioni, permettendo ai colleghi di proseguire la loro attività in maniera più equilibrata.
La figura del medico di famiglia con sempre più responsabilità.
Nel documento diffuso dalla segreteria regionale, si mette in luce come la figura del medico di famiglia venga sempre più caricata di responsabilità, adempimenti burocratici e incombenze che, pur non rientrando nella sua sfera di competenza, vengono di fatto riversate sul suo lavoro. Si parla di ricette da trascrivere, certificazioni richieste al di fuori del perimetro normativo, pratiche spinte da indicazioni ricevute da altri livelli del sistema sanitario, eccessive modalità di reperibilità che vanno dall’ambulatorio al cellulare, passando per email e messaggistica istantanea. Il risultato, evidenzia lo Smi, è un lavoro che in molti casi si è triplicato rispetto a trent’anni fa, senza un adeguamento degli strumenti né delle tutele. Una mole di compiti che spesso limita il tempo e la qualità del rapporto medico-paziente, elemento che per molti professionisti rappresentava un pilastro nella scelta di questa carriera.
Colpita l’assistenza sanitaria nel Sassarese.
Il sindacato invita a riflettere sulle trasformazioni profonde che hanno interessato il settore negli ultimi decenni. L’invecchiamento della popolazione, la diffusione di patologie croniche e l’evoluzione delle cure hanno allungato le prospettive di vita, ma anche incrementato le necessità assistenziali. A questo si aggiunge il progressivo indebolimento della sanità pubblica, con chiusure di ospedali e servizi territoriali che costringono i cittadini a rivolgersi sempre più spesso al proprio medico di base per ogni tipo di esigenza, anche quelle che dovrebbero trovare risposta in altri livelli del sistema sanitario.
La segreteria dello Smi non si limita a una denuncia, ma lancia un appello: smettere di penalizzare la medicina generale e iniziare finalmente a valorizzarla. Riconoscere il ruolo cruciale che i medici di base svolgono nel garantire un accesso capillare e gratuito alle cure significa anche creare per loro condizioni di lavoro dignitose, sostenibili, umane. A cominciare dal diritto di prendersi una pausa, di fermarsi se esausti, di non dover arrivare al punto estremo delle dimissioni per difendere la propria salute mentale e fisica.
Lo Smi chiede rispetto per una professione che è ben lontana dall’essere “comoda”, e che ancora oggi viene vissuta da molti con spirito di servizio, nonostante tutto. Ma per continuare a essere un pilastro della sanità pubblica, il medico di famiglia deve essere messo nelle condizioni di poterlo essere.