A Sassari è allarme suicidi tra i giovanissimi, 9 casi nelle ultime settimane

Cresce la preoccupazione per i giovani di Sassari.

Nove ricoveri a Sassari, nelle scorse settimane, per tentato suicidio. Il dato, già grave, diventa drammatico quando si conosce l’età di chi ha voluto togliersi la vita: “Ragazzi e ragazze dai 13 ai 18 anni.” A comunicarlo Stefano Sotgiu, primario del reparto di neuropsichiatria infantile dell’Aou sassarese. “E’ un terremoto iniziato a ottobre. Dirigo da dieci anni l’unità e non ho mai visto nulla del genere.” Si ipotizza un aumento, tra i giovani, del 30/40% dei suicidi rispetto all’era pre-covid. “Le modalità scelte sono due: programmata o impulsiva”, spiega Sotgiu.

La prima consiste, solitamente, nell’assumere una grande quantità di farmaci presi ai genitori e accumulati, di nascosto, per giorni. “Poi c’è l’impiccagione. In quel caso è difficile intervenire in tempo.” Nessun atto dimostrativo quindi. I ragazzi sassaresi vogliono mettere fine alla propria sofferenza e se falliscono è solo per imperizia. “Molti ci vanno vicino tagliandosi in profondità le braccia con coltelli e lamette”, aggiunge lo psichiatra che lavora nelle Cliniche di San Pietro. “È un modo per provare dolore. Sentire qualcosa”. I giovanissimi infatti, costretti in casa dalla pandemia, la scuola ridotta alla dad e i rapporti a quelli su uno schermo, vivono come anestetizzati sviluppando disturbi sempre più critici. “Fobie, attacchi di panico, di ansia, insonnia.” E qualcuno, esasperato, diventa violento verso l’esterno, magari in famiglia o, appunto, contro se stesso.

“Una volta ricoverati si chiudono completamente. Appena riescono a parlare affermano che non lo faranno più.” Un’affermazione di cui non fidarsi, riprovarci è un attimo. “Li teniamo sotto osservazione per un mese, dando loro, se necessario, degli stabilizzanti dell’umore.” La fase successiva è la presa in carico del giovane da parte degli psichiatri sul territorio. Talvolta in terapia ci finiscono anche i genitori: “Si danno la colpa ed entrano in depressione”.

Il fenomeno, avverte il primario, è socialmente trasversale. “Il suicidio lo tenta il figlio dell’operaio come del professore universitario”. Difficile contrastarlo, mancano strutture e medici: “Non si fa più prevenzione ignorando così i segnali del disagio. Il ragazzo arriva qui quando è troppo tardi.” Talvolta, purtroppo non arriva proprio”.     

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