Molti i senza fissa dimora di Sassari che rifiutano ogni aiuto.
A Sassari esiste una città nella città. È quella dei senzatetto, fortezza priva di pareti e soffitti. Le sue coordinate geografiche sono mobili, dettate dal tempo, dal caso, dalle stagioni, meteo e psichiche. E liquida, sfuggente è anche la loro consistenza numerica, inafferrabile alle statistiche. Di fisso resta la refrattarietà a fermarsi nelle strutture d’accoglienza. “Certe povertà”, spiega Gianfranco Addis, referente della Caritas di Sassari, “hanno spezzato le relazioni di alcune persone col resto del mondo. In loro regna la diffidenza e l’insofferenza per le regole del vivere insieme”. Sarebbe questa una delle ragioni che spingono gli homeless a eleggere la strada ad albergo senza stelle.
“Non soltanto”, riferisce un volontario che vuole restare anonimo. “Ho visto anche casi di uomini e donne così delusi dalla vita da scegliere di non volerne più fare parte”. Subentra così una logica da “sommersi” che, chi gira per Sassari, riscontra con frequenza dalle tracce che suggeriscono una presenza per quanto sfocata. Succede con la donna che vive in macchina, vicino a via dei Gremi, la condensa sui finestrini a sfumare i lineamenti, una gomma a terra come rappresentazione dell’impotenza. “Le è stato offerto un aiuto”, continua il volontario, “ma non vuole andarsene”. Immobile pure l’uomo che trascorre le sue giornate su una panchina del centro, gentile sempre, pure nel respingere la mano del buon samaritano di turno. Qualcuno sostiene che, tra i molti che ogni giorno gli scorrono davanti, ci sia forse anche la sua famiglia. La fuga da genitori, mogli, figli, è una costante, anche se non porta molto lontano.
Approda nei sotterranei dei parcheggi, sotto le tettoie di qualche abitazione dell’agro, nel cono d’ombra di chiese come Santa Maria o in alcuni affollati magazzini del centro storico. Tante le strutture dismesse che si prestano a un ricovero temporaneo, tra Predda Niedda e via Padre Zirano, dove i vestiti, appesi sui corrimano o su stenditoi creativi, assenti chi li indossa, sembrano pelli dimenticate. Ma se ti avvicini appena, appare subito una specie di sentinella che, indicando un angolo di erba, terra e rifiuti, invita a farsi gli affari propri “perché qui ci abita della gente”.
Gente da Sassari, dall’est Europa, dall’Africa, dimenticata e che si dimentica oppure sceglie, con fatica, di riemergere alla vita rivolgendosi agli ostelli e ai centri d’ascolto. “Facciamo un colloquio”, afferma Addis, “e proviamo a imbastire un percorso che aiuti il riscatto della persona e gli faccia conquistare una sua autonomia”. Non è però per tutti, chi non può o non riesce resta un fantasma, in quella condizione di quasi invisibilità che il capodanno alle porte rende ancora più surreale. Senza spumante, fuochi d’artificio e botti, in compagnia esclusiva della propria solitudine.