Sergio Babudieri, direttore delle Malattie infettive di Sassari, ritiene che non si possa tornare alla normalità pre-covid.
Sergio Babudieri, direttore della Clinica delle Malattie infettive di Sassari, sorride prima di rivolgersi ai duecento ragazzi in ascolto nell’Auditorium del Polo tecnico Devilla. “La normalità pre-covid? E’ morta”. Le dieci classi dell’istituto, presenti martedì scorso per l’iniziativa didattica “A colloquio coi grandi” voluta dalla dirigente Nicoletta Puggioni, incassano anche il più rassicurante seguito: “Ne serve una nuova”. Il professor Babudieri è il generale delle truppe da due anni più esposte in città contro l’epidemia e conosce vita, (spesso) morte e miracoli del Sars-Cov-2. Un virus “senza alcuna strategia, che vuole soltanto replicarsi”, rivela ripercorrendo la storia di quel “materiale genetico” ospite talvolta killer dell’essere umano.
Proprio l’istinto di sopravvivenza lo porta “a centinaia di migliaia di mutazioni giornaliere”, alcune delle quali, le più forti, nominate, secondo le lettere dell’alfabeto greco, come variante Delta od Omicron, la più recente. “Se continua così”, chiedo, “a quale lettera arriveremo?” La risposta, forse scherzosa o forse no, arriva subito: “Omega?” Che, pur essendo l’ultima lettera, non è detto chiuda il lungo elenco delle metamorfosi, anche se l’infettivologo prova a lanciarsi in una previsione: “Sembra che il covid stia tornando verso il virus del raffreddore”. Una possibilità comunque lontana, che non esime dal mantenere tutte le precauzioni del caso, soprattutto in contesti affollati come, ad esempio, le feste: “Oggi se uno vuole essere sicuro di incontrarsi con 30/40 persone senza correre nessun rischio, deve avere tre dosi di vaccino in corpo e un tampone fatto nelle 24 ore precedenti che certifichi che nessuno entri in quell’ambiente chiuso portando il virus”. Inevitabile il riferimento alle discoteche che, secondo il professore, è stata “una follia” riaprire la scorsa estate.
“Ci siamo ritrovati col reparto pieno”, riferisce Babudieri, che ricorda anche il caso di “un buttafuori di un locale, un giovane 27enne forte e in piena forma, che abbiamo faticato a salvare dalla rianimazione”. Un ragazzo chiede se ha mai pensato, in particolare all’inizio, che non ci sarebbe stata una via d’uscita dalla pandemia: “Non ne ho avuto il tempo. Lavoravo tredici ore al giorno e dal 7 marzo al 25 aprile 2020 praticamente non ho visto casa“. Una sorte condivisa per mesi coi circa cento elementi, tra dottori, infermieri e oss, del personale della clinica. Nel frattempo l’arrivo della profilassi ha permesso di allentare la tensione: “Ma è incomprensibile per me che ci siano milioni di non vaccinati”. Forse perché i no-vax non hanno avuto il punto di vista privilegiato, e pauroso, degli infettivologi: “Abbiamo vissuto qualcosa di paragonabile a una guerra mondiale. Stavolta però le bombe le vedevamo soltanto noi”, conclude, sorridendo, Sergio Babudieri.