Parla l’imprenditore sotto la lente della Guardia di Finanza di Sassari.
L’imprenditore di Sassari coinvolto nell’inchiesta sulla presunta truffa ai danni dello Stato per il bonus facciate ha deciso di fare chiarezza e raccontare la sua versione dei fatti. La Guardia di Finanza ha recentemente annunciato l’avvio delle indagini nei confronti di 6 cittadini di Sassari, tra cui un imprenditore edile, professionisti e un amministratore di condominio, accusati di associazione a delinquere finalizzata a commettere truffe ai danni dello Stato nel contesto delle misure di sostegno al settore edilizio, noto come “bonus facciate“.
Il racconto dell’imprenditore sul bonus facciate.
“Partiamo con il dire che nel 2020 è stata approvata una legge che ha introdotto la possibilità di realizzare i lavori sulle facciate di una casa pagando solo il 10% del suo valore e ottenendo uno sconto del 90% direttamente in fattura. Solo le imprese strutturate con professionisti e attrezzature, oltre ad avere liquidità, potevano permettersi di fare le lavorazioni con gli sconti in fattura. Dovevano anticipare il 90% dei costi ed aspettare che potessero vendere il relativo importo. I crediti derivanti da questi benefici non erano immediatamente esigibili, ma erano suddivisi in un periodo di 10 anni. Ad esempio, se un lavoro aveva un valore di 100mila euro, l’impresa riceveva un acconto di 10mila euro e i restanti 90mila euro sarebbero stati erogati dallo Stato in 10 rate annuali di 9mila euro ciascuna. In altre parole, i 90mila euro sarebbero stati divisi in 10 anni. Le Imprese, cosi come stabilito per Legge, erano quindi obbligate a vendere alle poste o alle banche le dieci annualità. Le poste o le banche pagavano il 70% dell’importo alle imprese, su 90mila euro le imprese avrebbero incassato il 70% e quindi 63mila euro. Tuttavia, a partire da novembre 2021, è stata emanata una legge volta a contrastare le frodi nel settore, introducendo alcune restrizioni per l’acquisizione di crediti. Questa normativa ha avuto un impatto sulle imprese edili, che fino a quel momento avevano la possibilità di incassare i pagamenti per i lavori svolti mesi prima – afferma l’imprenditore edile, che preferisce non rendere noto il suo nome, essendo l’indagine in corso -. Con l’entrata in vigore della legge, le banche e le Poste non sono più state disposte ad acquistare i crediti delle imprese per i lavori, poiché erano legati ai benefici fiscali previsti dalla legge stessa. Molte lavorazione erano state iniziate, le commesse aperte, le imprese sub-appaltatrici avevano preso in carico il lavoro. Il tutto era stato fatto perché lo Stato, tramite le banche e/o poste, avrebbe pagato nel termine di due mesi. Così come era stato stabilito”.
L’erogazione dei fondi.
Questa nuova modalità di erogazione dei fondi ha comportato un cambiamento nelle dinamiche finanziarie delle imprese edili, che dovevano fare i conti il fatto che avrebbero incassato i soldi dilazionati nel tempo. Inoltre, mancando la possibilità di cedere i crediti alle banche o alle Poste ha comportato una maggiore difficoltà nell’ottenere liquidità immediata per finanziare le attività.
“A seguito dell’entrata in vigore della legge anti-frode, molte imprese si sono trovate in difficoltà finanziarie a causa delle commissioni aperte – prosegue il racconto l’imprenditore -. Ho personalmente investito i miei soldi e ho stipulato contratti con imprese subappaltatrici per i lavori commissionati dai clienti. Ma non avevo più i fondi necessari per proseguire con le attività. Questo può essere considerato come una truffa subita da noi imprenditori da parte dello Stato, piuttosto che il contrario. In base alla legge, la liquidità nel cassetto fiscale, ovvero il credito maturato verso lo stato, non puó essere utilizzata direttamente e per monetizzarla il credito va venduto. Se non li usi entro l’anno, i soldi vengono persi. Per far capire la situazione, nel 2022 ho subito una perdita di circa un milione di euro poiché non sono riuscito a vendere i crediti e compensarli con le tasse”.
L’effetto di questa restrizione è stata che i crediti nel cassetto fiscale sono diventati inutili per l’imprenditore. Non li ha potuti utilizzare per pagare i fornitori, il personale o per pagare, piú semplicemente, le bollette. “È importante precisare che questa situazione non è dovuta a lavori incompiuti, poiché la maggior parte dei lavori è stata effettivamente eseguita. Tuttavia, i fondi sono rimasti nel cassetto fiscale e non ho potuto monetizzarli“, conclude l’imprenditore indagato.