Un infermiere di Sassari racconta come funziona il reparto Covid.
Da circa un mese Pierfrancesco, infermiere 33enne, ha ottenuto il trasferimento dal reparto di Ginecologia e Ostetricia alla terapia intensiva covid delle cliniche universitarie di Sassari. Ipotizzava quanto si poteva prospettare, ma la realtà, in prima linea, è stata ben diversa.
“All’inizio di ogni turno si prendevano le consegne. Questo era un momento in cui, prima di questa pandemia, ci si poteva confrontare, anche in maniera scherzosa con i colleghi. Adesso purtroppo non è più così – esordisce il giovane infermiere -. Anche se il viso è coperto dalla mascherina, dall’espressione degli occhi dei colleghi ci si rende conto della situazione del reparto. Visi stanchi, impauriti, segnati dai dpi, poche parole e poche domande. E poi via a cambiarsi“, ha esordito l’infermiere.
E prosegue: “Guardiamo la lavagna dove segniamo i nomi dei degenti, per capire che più della metà dei pazienti che avevamo lasciato nel turno precedente è cambiata. Qualcuno trasferito, e qualcuno purtroppo che ci ha lasciato. Ci organizziamo il lavoro, solitamente siamo 3 o 4 infermieri per turno. Decidiamo chi deve entrare nella zona rossa e chi invece deve restare nell’area pulita a gestire ciò che succede al di fuori”, ha affermato.
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Per entrare nella zona rossa è fondamentale utilizzare una serie di dispositivi di protezione individuale. Ovvero tuta, stivali, doppi guanti, maschera fp3, cuffia, occhiali e visiera. Il primo giorno che Falchi è entrato nella zona rossa, dopo un’ora è dovuto uscire talmente era forte l’impatto fisico ed emotivo. Le colleghe, invece, sono uscite dopo 5 ore consecutive e lì ha capito cosa significava affrontare in prima linea l’emergenza.
Un dispendio di energie fuori dal normale, e che costa parecchia fatica anche ad uno sportivo come lui. “Mantenere la calma e la lucidità sotto quei dispositivi è una cosa difficilissima. Il sudore cola in tutto il corpo, l’aria manca, i presidi che con il passare delle ore comprimono sulla cute lasciando delle piaghe profonde, gli occhiali appannati che rendono il tutto ancora più difficile. Solo per questo potrei definire i colleghi degli eroi. Nella terapia intensiva, infatti, si salvano realmente delle vite. I farmaci che si utilizzano sono svariati e un minimo errore può realmente cambiare le sorti del paziente“, ha proseguito.
A questo punto il racconto entra lo specifico e si fa drammatico, con una storia che ha toccato profondamente il cuore del giovane infermiere.
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“Quando i pazienti arrivano in rianimazione alcuni sono vigili e coscienti. Lascio immaginare lo stato d’animo di queste persone che da lì a poco verranno sedate e intubate, senza nessun parente o conoscente che sia lì per consolarle. Noi siamo lì, da soli con il paziente, vestiti come degli astronauti che cerchiamo di sostenerli moralmente e tranquillizzarli, per quanto possibile. La domanda più frequente è: Ne uscirò vivo? Ovviamente noi con tono scherzoso rispondiamo sempre di sì, mentre gli stringiamo una mano e le diamo una carezza sul viso. Uno di questi non mi ha lasciato la mano per quasi un’ora, poteva essere mio padre. In questi momenti metti da parte la professionalità del tuo lavoro e ti immedesimi in queste persone e nei loro familiari. Sappiamo che da lì a poco non avremo più nessuna relazione verbale con il paziente che viene prima sedato e poi intubato“, ha continuato.
“La cosa peggiore infine avviene durante il decesso. Forse ci spetta la cosa più difficile da affrontare. Dopo che il medico constata il reale decesso del paziente, lo copriamo con un lenzuolo bianco e lo cospargiamo di varecchina, pronto per essere posizionato in una bara dove quasi sempre si avvia alla cremazione. Son cose che segnano. Fare l’infermiere non è un lavoro per tutti, anzi forse in questo momento lo è per pochi. Provo tanta stima per tutti i colleghi infermieri e ostetriche impegnati in prima linea in quest’emergenza. Solo adesso capisco il reale impegno che ogni giorno impiegano tutti i colleghi. Spero che questa situazione ci possa cambiare in meglio e soprattutto spero che la figura dell’infermiere venga riconosciuta e ripagata per tutto ciò che ha sempre fatto, non solo in questa situazione“, ha poi concluso.