Lo chef Cristiano Andreini racconta la filosofia gourmet del nuovo ristorante di Sassari.
“La Sardegna e Sassari sono la mia casa”. Cristiano Andreini, chef stellato Michelin, giustifica così il suo ritorno nel capoluogo turritano con la sfida del ristorante Liberty in piazza Nazario Sauro. Lo storico locale, riaperto nelle scorse settimane, rappresenta una variazione della sapienza gourmet di Andreini che si aggiunge a quella del ‘Refettorio’ nella sua Alghero.
“La peculiarità del Liberty – ci spiega il cuoco – è il forno alla brace dove cuciniamo tutte le pietanze. Il gusto di affumicato, di fumo, entra dentro così su tutti i piatti, dall’antipasto al dessert, dal gelato al fieno al carpaccio bruciato alla paella cotta con la fideuà”. Un concetto legato alle tradizioni della cucina sarda che Andreini aveva già messo in pratica a Mosca, dove ha lavorato cinque anni, nel ristorante all’interno del Luxury Hotel Nacional davanti alla Piazza Rossa. “Oltre al metodo antichissimo di cottura – continua il cuoco – noi uniamo le tradizioni sassarese e algherese, cucinando ad esempio il cavallo, l’asino, l’agliata. A questo aggiungiamo le contaminazioni da tutto il mondo”.
E qui lo chef Cristiano Andreini illustra il cosmo culinario alla portata degli avventori pescando dal piatto del giorno: “Sto utilizzando un rombo atlantico, eccezionale. Poi la commistione, col Kimchi coreano, la costata di maiale sarda, le spezie indopacifiche, asiatiche e parasiatiche”. L’elenco è molto più lungo di questo breve estratto, che risponde a una filosofia diversa di rapporto col cliente: “Rifiuto l’idea del piatto pomposo e superdecorato. Qui non facciamo distinzione tra primo e secondo, sono molti i piatti in condivisione così che sia chi mangia a scegliere cosa prendere secondo il modello del vecchio antipasto all’italiana”. Un avventore peraltro sempre più esigente, in parte “contaminato” anche lui ma dalla televisione: “Dopo i talent sulla cucina si sentono tutti cuochi. Attenzione però perché troppa tv crea dei mostri”. A partire dai suoi colleghi: “Da dieci anni siamo diventate delle rockstar. Io non vengo però da Masterchef ma dalle sberle di mio padre Sergio, il mio maestro, cuoco e professore all’Alberghiero”. Un’eredità raccontata dal camice che indossa su cui campeggia il nome paterno.
Cristiano ritiene di essere soltanto “un cuciniere che ha sempre da imparare dagli altri”. D’altra parte il suo mestiere, all’atto pratico, è quanto di più lontano si possa immaginare dal glamour dei riflettori: “La mia giornata non finisce mai. Se ti piace questa vita pensi sempre a cucinare, da quando ti alzi a quando ti addormenti Sì, siamo un po’ maniacali, “esauriti””. Massima attenzione quindi alla scelta degli ingredienti, alla mise in place della sala, alla cottura, un processo che richiede tempo e molto sacrificio.
“Una volta che si è passati dal pensare i piatti, poi inizia il lavoro e proprio. Testare il cibo, assaggiarlo, renderlo perfetto e poi farlo uscire per i clienti. A quel punto diventa una routine, comunque piacevole per me visto che lo faccio da 36 anni”. Intanto pensa al futuro formando nella sua cucina i cuochi della prossima generazione: “Devono imparare la sensibilità, il modo di approcciarsi, di toccare, di trattare gli elementi. Lo si vede anche da come prendi un cucchiaio e metti l’intingolo, l’ultimo touch”. Tutte conoscenze che applica nel Liberty, l’ennesima scommessa della sua carriera: “Il periodo storico non è forse quello giusto ma, come si dice, nei tempi sbagliati nascono le idee più importanti. D’altronde, se non si è un pò pirati nella vita non si riesce”. E poi torna in cucina, nel suo regno, a dar forma e sapore a un altro piatto.