La Sardegna contro l’arrivo delle scorie nucleari.
Lo Stato rispetti la volontà del Consiglio Regionale della Sardegna e l’esito del referendum del 2011: il no del popolo sardo alle scorie nucleari sul nostro territorio è irrevocabile. La Sardegna ha già pagato, e continua a pagare, alti tributi alla solidarietà nazionale. Questo il senso delle dichiarazioni del presidente della Regione Christian Solinas, che per sostenere anche in ambito tecnico scientifico le ragioni della posizione della Sardegna in merito all’ipotesi di stoccaggio di scorie nucleari in 14 siti del territorio regionale, ha istituito un Comitato tecnico scientifico che ha già trasmesso il 26 marzo scorso le argomentazioni che dimostrano l’inopportunità di una simile scelta, che oltre a rappresentare un pericolo per l’immagine dell’isola, si scontrerebbe con quanto stabilito per legge e per effetto di un referendum popolare.
Il seminario.
Il seminario organizzato da Sogin è stato l’occasione per ribadire e argomentare la posizione netta della Sardegna. Nel 2011, in occasione del referendum, oltre il 97% del popolo sardo votò contro la localizzazione delle scorie sull’isola. Anche il Consiglio Regionale, in diverse fasi, si è pronunciato in modo nettamente contrario.
“La Sardegna – ricorda il presidente Solinas -, ospita più della metà delle servitù militari presenti in Italia, circa il 65%, a danno della valorizzazione del territorio isolano. E in base ai Trattati costitutivi dell’Unione Europea, i territori insulari andrebbero supportati ed aiutati, in quanto oggettivamente svantaggiati rispetto agli altri sotto alcuni aspetti. È anche per questo che l’eventuale collocazione del deposito sull’isola apparirebbe come l’ennesimo e irragionevole sacrificio imposto al territorio, che già sopporta un carico superiore a quello di qualsiasi altra regione d’Italia”.
Il no alla collocazione.
È evidente, a parere del presidente Solinas, l’irragionevolezza di una eventuale collocazione del deposito su un’isola. I rischi, in caso di incidente, sarebbero enormemente accresciuti dalla impossibilità per la popolazione di essere efficacemente e rapidamente evacuata dalle zone interessate. “Come è evidente a tutti, il mare costituisce una formidabile barriera che rallenta o talvolta impedisce del tutto l’allontanamento dalle aree interessate. L’ulteriore aspetto da considerare riguarda la peculiare caratteristica del sistema idrico sardo. Per ragioni legate alla lotta alla siccità, il sistema è fortemente integrato. Conseguentemente, un eventuale evento incidentale potrebbe rapidamente compromettere l’intera riserva idrica regionale”, prosegue Solinas.
La pericolosità.
Vi sono inoltre altri concreti argomenti tecnici per ritenere radicalmente inidonee le aree insulari. Sia per la pericolosità del trasporto marittimo ed i rischi che esso comporta, l’ambiente marino costiero interessato è tra i più delicati del Mediterraneo, che per l’esborso economico, che si eviterebbe, realizzando il deposito su aree non insulari, che comporterebbe la realizzazione delle infrastrutture portuali necessarie, oggi non presenti, e l’acquisizione della disponibilità dei mezzi di trasporto occorrenti.
La posizione della Regione è quindi netta: laddove la CNAPI, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, fosse stata redatta sulla base di studi e cartografie aggiornate, nonché su indagini di campo, tutte le aree individuate in Sardegna sarebbero state escluse.
Per quel che riguarda il rischio e la pericolosità geomorfologica idraulica di qualsiasi grado e le fasce fluviali, sulla base dei dati aggiornati, i rischi di frana sono ben più diffusi di quelli valutati da Sogin. Tutte le API sono intensamente interessate dal reticolo idrografico minore dove si concentrano frequenti dissesti; per quel che riguarda i livelli piezometrici affioranti, quasi tutte le API hanno falde freatiche superficiali e interessano acquiferi ad elevata vulnerabilità; in relazione infine alle risorse del sottosuolo, gli acquiferi profondi sono di scarsa qualità e questo accresce la necessità di tutela dell’acquifero superficiale.
Ancora, nessuna area tra quelle individuate è in grado di garantire le esigenze di isolamento da infrastrutture antropiche e da attività umane. Tutte le aree presentano inoltre un rischio archeologico alto o addirittura altissimo, molte di esse impattano su aree gravate da usi civici e su infrastrutture critiche rilevanti o strategiche. “Il nostro no è fortemente motivato ed irrevocabile – conclude il presidente Solinas -. La mobilitazione civile, pacifica e democratica contro ogni ipotesi di stoccaggio in Sardegna deve proseguire, interessando tutte le articolazioni della società sarda in una stagione di unità e di profonda coesione, nel nome e per il bene della Sardegna”.
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