I due docenti spiegano il ruolo Colesterolo HDL nel Parkinson.
“Il colesterolo HDL può avere una capacità antiossidante e antiinfiammatoria nella patofisiologia della malattia di Parkinson“. È quanto sostengono nell’editoriale apparso di recente su Neurology, la prestigiosa rivista internazionale dell’American Academy of Neurology degli Stati Uniti, il professor Gian Pietro Sechi, già direttore della Clinica Neurologica dell’Aou di Sassari e il professore Giovanni Mario Pes dell’Università di Sassari e il professor Yong-Moon Park dell’University of Arkansas for Medical Sciences negli Stati Uniti.
L’intervento dei tre esperti si riferisce allo studio epidemiologico condotto su quasi l’intera popolazione della Corea del Sud, oltre 50 milioni di persone, in individui di oltre 65 anni di età, dal quale emerge che bassi livelli plasmatici di colesterolo HDL (high density lipoproteins) e la eccessiva fluttuazione plasmatica di queste lipoproteine, sono un importante fattore di rischio di sviluppare nel tempo la malattia di Parkinson.
“La malattia di Parkinson – ricorda il professor Sechi – è una devastante patologia neurodegenerativa per cui non esiste ancora alcuna definita terapia in grado di prevenire o rallentare il progressivo peggioramento”. Attualmente, in tutto il mondo, circa 10 milioni di individui ne sono colpiti e il numero è in continua crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione.
“Da anni – riprende il docente sassarese –, è noto che ridotti livelli plasmatici di colesterolo HDL rappresentano un definito, importante fattore di rischio per le patologie cardiovascolari, mentre l’effetto dei livelli plasmatici e dell’eccessiva fluttuazione dei tassi di colesterolo nel cervello sul rischio di sviluppare patologie neurodegenerative, quali malattia di Parkinson e demenza di Alzheimer, resta ancora indeterminato ed è attualmente oggetto di intensa ricerca scientifica“.
Nello studio coreano, realizzato da Do-Hoon Kim con i suoi collaboratori e pubblicato su Neurology, si evidenzia che individui con livelli plasmatici basali di colesterolo HDL al di sotto di 40 mg/dl erano verosimilmente più predisposti a sviluppare malattia di Parkinson rispetto a quelli con valori di colesterolo HDL di 60 mg/dl o più.
“Ecco allora – afferma Gian Pietro Sechi – che con i colleghi nell’editoriale abbiamo ipotizzato che ampie fluttuazioni dei livelli di colesterolo nel cervello potrebbero facilitare l’aggregazione e l’accumulo della proteina alfa-sinucleina, probabile principale determinante patogenetico della malattia, proprio nelle cellule nervose situate in specifiche aree critiche del cervello”.
“Nel nostro editoriale – aggiunge – suggeriamo che la somministrazione cronica/per anni di farmaci di uso comune nella pratica clinica nelle patologie cardiovascolari, quali la niacina (vitamina B3) ed alcune classi di farmaci ipolipidemizzanti, quali i fibrati, in grado di incrementare nel sangue i livelli di colesterolo HDL, possano avere un ruolo terapeutico anche nella malattia di Parkinson. Questi farmaci, infatti – conclude –, potrebbero anche essere utili nel prevenire o rallentare il progressivo peggioramento della neurodegenerazione negli individui a rischio”.