La denuncia dei sindacati.
La situazione epidemiologica attuale del coronavirus in Sardegna ha determinato una richiesta crescente di ricoveri in ospedale per i pazienti affetti da tale infezione e, vede ancora il Nord Sardegna in grave difficoltà. La sopravvivenza di molte persone in questo momento storico dipende dalla disponibilità di un posto letto in rianimazione, dalla possibilità di trovare le cure appropriate in tempi celeri, che si scontra con la carenza dei posti letto per accoglienza dei pazienti affetti da infezione virale Covid-19.
Secondo le organizzazioni sindacali Cgil, Anaao Assomed, Fassid, Fesmed, Uil, Cisl, Arooi, Anpo Ascot e Smi, il 5 novembre scorso la Giunta Regionale ha deliberato, con colpevole ritardo, un aggiornamento dei posti letto Covid-19, comprensivi delle Terapie Intensive, che porterebbe l’offerta a 1006 posti in tutta la Regione. Tale numero comprende 454 posti letto attivi o di imminente attivazione e 552 di attivazione progressiva. Permane tuttavia, una drammatica penuria di posti letto per malati Covid.
I sindacati puntano il dito contro gli ospedali pubblici e convenzionati. A partire dall’Aou di Sassari e gli ospedali territoriali di Alghero. Ma anche il Policlinico Sassarese e il Mater Olbia che dovrebbero offrire servizi al pubblico visto che dal Sistema Sanitario Regionale ricevono le remunerazione per le prestazioni offerte. A tal proposito, infatti, il Policlinico Sassarese ha messo a disposizione 40 posti letto su 70 disponibili, mentre il Mater Olbia su 200 posti disponibili ne ha messo a disposizione solo 36, non ancora tutti attivi e di cui solo 6 di terapia intensiva.
Attualmente, sempre secondo i sindacalisti, l’AOU di Sassari è costretta a chiudere quasi completamente le sale operatorie del presidio delle Cliniche di San Pietro, sospendendo di fatto gli interventi chirurgici per pazienti tumorali e altre patologie di interesse chirurgico di elevata specialità. Ma anche a ridimensionare o chiudere interi reparti specialistici quali Neurologia, Geriatria, Reumatologia, Patologia e Clinica Medica, Lungo Degenza, Gastroenterologia, oncologia e nefrologia, interrompendo o limitando gravemente l’assistenza per un grande numero di pazienti. Nondimeno la dislocazione di risorse umane e medici, infermieri, OSS, con diverse specializzazioni per i medici e esperienza professionale per gli altri sanitari per cercare di dare l’assistenza necessaria ai pazienti ricoverarti nei neonati reparti Covid.
Non sono poche le criticità cui sono costretti anche altri ospedali pubblici già in sofferenza per carenze di personale e strutture, che si ritrovano a dover trovare spazi per accogliere un carico di pazienti per i quali non erano preparati. Come ad esempio il Policlinico Sassarese che ha dovuto riconvertirsi totalmente e rapidamente in Ospedale Covid.
I sindacati perciò si chiedono quali soluzioni possano essere ancora adottate oltre al progressivo coinvolgimento di tutti i presidi ospedalieri che non sembra tuttavia dare risposte rassicuranti.
“Il primo protagonista mancato è il Mater Olbia che, a fronte di una capacità logistica spropositata in tempi pre-Covid, potrebbe contribuire maggiormente a dare respiro alle strutture del Nord e Centro Sardegna con l’offerta di un maggior numero di posti di Terapia Intensiva e che invece offre le briciole durante l’emergenza – affermano i sindacati unitariamente -. Si tratta di un grandissimo Ospedale che ha richiesto l’impegno di enormi risorse economiche ai sardi e che con medici infermieri e logistica potrebbe senza dubbio dare risposte più consistenti“.
“L’altro attore che meriterebbe una parte di maggior rilievo è il sistema organizzativo della medicina territoriale, unico forse in grado di fermare o rallentare l’afflusso verso i Pronto Soccorso che oggettivamente non possono essere più in grado di assorbire lo tsunami continuo di pazienti che arrivano direttamente alle strutture ospedaliere senza un filtro efficace da parte della medicina territoriale – affermano i sindacati -. Oltre alla promessa maggiorazione delle USCA in termini numerici sarebbe a nostro modesto parere vitale ottenere una sinergia efficace tra i servizi deputati alla sorveglianza sanitaria, la medicina di continuità assistenziale (medici di guardia medica) e medicina generale convenzionata (medici di base) le cui azioni andrebbero meglio coordinate e rese finalmente capaci di prestare tempestivamente le cure domiciliari necessarie a prevenire peggioramenti clinici che richiedono cure ospedaliere“.