Il nuovo libro di Vanna Pina Delogu.
In occasione della terza edizione dell’evento “Un Sorso di poesia in Romangia”, nella suggestiva e storica sede del Palazzo baronale, nei giorni scorsi, Vanna Pina Delogu ha presentato il suo ultimo libro “Da la jánna a carréra. Dal portone alla strada. Un Sorso di poesia, genialità e pazzia dalla magica fonte Billèllera”. Il libro si basa sulle tradizioni di Sorso, sul carattere dei suoi abitanti ed ovviamente sulla fontana, monumento simbolo del paese.
Come ha deciso di strutturare il lavoro?
Si tratta di un libro che unisce narrativa e poesia al tempo stesso, ricerche d’archivio ed aneddoti per arrivare alla fonte, all’origine delle immeritate dicerie sulla presunta pazzia o macchìni dei sorsensi. Ho cercato di raccogliere ciò che ho potuto sull’argomento, ma naturalmente il campo rimane comunque aperto per chi voglia ulteriormente approfondire.
Qual è il messaggio racchiuso nel libro?
“Da la jánna a carréra. Dal portone alla strada”, questa metafora indica un modo di procedere lungo la strada della conoscenza che non appartiene soltanto a Sorso ma si può e si deve estendere ad altre comunità. Il messaggio principale racchiuso nel libro è quello della necessità di educare i giovani, soprattutto, alla conoscenza della storia e della cultura locale, all’amore per il proprio paese, per renderli più forti e pronti ad uscire “da la janna a carréra”, ossia dalla porta di casa verso la strada, la vita, l’esterno, le culture altre, verso il mondo. È importante che l’uomo irrobustisca le proprie radici culturali, “radici mobili” che ci portiamo appresso, che ci danno il giusto nutrimento e che ci aiutano ad affrontare meglio la vita. È questa la tematica che porto avanti da sempre, alla base delle mie pubblicazioni.
Cosa l’ha spinta ad affrontare il particolare argomento del libro?
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto la curiosità di risalire alla “fonte” di quelle strane dicerie che da sempre attribuiscono agli abitanti di Sorso ampie porzioni di stoltezza, pazzia, stravaganza. Ho sempre cercato di capire come mai quando un Sorsense si presenta come tale si chiedano subito notizie sull’acqua della Billèllera, ritenuta all’origine della presunta dabbenaggine o stoltezza degli abitanti di Sorso. Inoltre, in varie occasioni, quando capita che ci esprimiamo nel nostro dialetto, le nostre parole sono spesso accompagnate dalle risatine degli ascoltatori non sorsensi; le nostre parole vengono ripetute come una canzonatura, uno sbeffeggiamento che mette in ridicolo il nostro particolare accento. Personalmente, proprio come forma di reazione pacifica a questi atteggiamenti, desidero, invece, valorizzare la particolarità della nostra parlata, compresa all’interno della lingua turritana che appartiene anche a Sassari Porto, Torres e Stintino. Desidero quindi impegnarmi ulteriormente per tramandare le caratteristiche del dialetto di Sorso partecipando anche a diversi concorsi letterari dedicati alla lingua sarda ed alle sue varianti, ed ho ricevuto in diverse occasioni, riconoscimenti importanti per le mie composizioni dialettali.
Come ha vissuto gli stereotipi sui sorsensi?
Fin da ragazzi siamo abituati a sentirci chiamare “Sussinchi macchi” e siamo stati abituati da sempre a lasciar perdere, a non abboccare, a sorridere magari con una battuta di spirito ma non nego che a lungo andare la cosa possa infastidire. Perfino a scuola, negli spuntini, nelle feste, le barzellette di solito hanno per protagonista un Sorsense a cui si attribuisce ogni sorta di cretinaggine, e lo scherzo si conclude la maggior parte delle volte, quasi per gentile concessione da parte dell’autore delle frecciatine, con una frase che tende a riabilitare i Sorsensi come uomini intelligenti, lavoratori, arguti, dotati di uno spiccato senso dell’humor. È innegabile come tutto questo, a lungo andare, al di là dell’aspetto scherzoso, possa a volte dare fastidio. Per fortuna il popolo di Sorso ha sempre reagito mettendo in campo il carattere particolare di chi, invece, ha sempre saputo sorridere con sorprendente autoironia a queste situazioni ed ai vari capricci della sorte.
Come si è originata la storiella sulla presunta pazzia dei sorsensi?
Credo fortemente che i Sorsensi abbiano subito un torto storico. Attribuire agli abitanti di un paese la nomea di gente stupida, cretina, pazza, ha avuto senza dubbio in origine lo scopo di screditare e sminuire il valore di un’intera comunità, di far calare l’autostima generale, mettendo quel popolo alla berlina, disprezzandolo in modo da fiaccarne le forze, le energie. La prassi dello scherno, del disprezzo verso le popolazioni era infatti, in uso specialmente nel passato e, stando a quanto si tramanda, era stata attuata anche dai dominatori Spagnoli verso tutti i Sardi in generale, per stroncare sul nascere ogni tentativo di ribellione.
Gli stessi spagnoli che ci definirono “Pocos, locos y mal unidos”.
Sì, gli Spagnoli cercarono di denigrare tutti i Sardi, mettendoli in ridicolo, “Pocos, locos y mal unidos”, “pochi, stupidi, disuniti”, frase che tuttavia non è mai stata verificata in alcun documento o fonte storica ma che in qualche maniera è arrivata fino a noi. La definizione “Pocos, locos y mal unidos” non può essere accettata e, anche in questo caso, siamo sicuramente in presenza di un torto storico poiché i Sardi non sono stupidi e non sono stati neppure tanto disuniti come è dimostrato da antiche consuetudini di reciproca assistenza pervenute fino ai giorni nostri e dall’esistenza di una fitta rete di confraternite e gremi che ha saputo tenere unita la popolazione, soprattutto nel passato, rendendola capace di resistere e di reagire di fronte alle avversità.
Un popolo stremato, sottoposto ad un tremendo regime fiscale, nonostante le terribili condizioni socio-economiche in cui si trovava, alla fine del Settecento ha saputo reagire paese per paese con una serie di tumulti, di moti che sebbene non siano sfociati in una vera e propria rivoluzione, hanno posto le premesse per il cambiamento e per il successivo superamento della fase feudale. Dunque i Sardi non sono cretini per la definizione che ne facevano gli spagnoli, così come non lo sono certamente gli abitanti di Sorso per tutte le storielle che di tramandano.
Quali sono le origini storiche del conflitto tra Sorso e Sassari?
Anche per quanto riguarda Sorso, si tratta di un torto storico che si è originato probabilmente in epoche lontane, nel tempo degli antichi Giudicati sardi, nello specifico nel Giudicato di Torres o Logudoro segnato, per esempio, dai forti interessi commerciali che Pisa e Genova avevano in questa zona e da lotte fratricide per il controllo di un territorio fertile e vasto, situato in posizione strategica davanti al Golfo dell’Asinara, a fianco del porto di Turris, odierna Porto Torres. In quell’epoca lontana esisteva un feroce antagonismo tra Sorso e la città di Sassari, originato sempre da questioni politiche ed economiche, per il controllo dei territori della Romangia. Sassari tendeva ad ingrandirsi ed a raggiungere l’autonomia comunale; Sorso era la roccaforte del potere giudicale.
Sorso al centro della storia dunque.
Nella fase più turbolenta della vita del giudicato di Torres, la famiglia regnante inviava a Sorso il giovane principe Barisone III di Torres, fratello di Adelasia di Torres, dove i suoi lo credevano al sicuro dalla crisi in atto e proprio durante uno di questi trasferimenti fu raggiunto da un sicario sassarese, stando a quanto riporta il La Marmora nel suo “Itinerario dell’isola di Sardegna”, e barbaramente ucciso all’età di circa 15 anni nel 1236. Il suo corpo fu sepolto nella romanica chiesa di San Pantaleo in Sorso, con grande partecipazione e dolore del popolo, così come riportato in un antico manoscritto, il Liber Iudicum Turritanorum, considerato “la più antica cronaca sarda”. Col passare dei secoli e delle varie vicende storico-politiche che hanno tormentato la nostra isola, anche di questo fatto delittuoso, come di tanti altri misfatti, generati dalle forti rivalità e dalla rapacità dell’uomo, si perdette quasi la memoria ma, in qualche maniera, ne rimase traccia, giungendo in parte fino ai giorni nostri sotto la forma delle storielle popolaresche che troverete nel libro, compresa quella esilarante del presunto tentativo di furto della fontana del Rosello di Sassari da parte dei sorsensi.
Chi è Vanna Pina Delogu.
Vanna Pina Delogu vive e lavora a Sorso come dipendente comunale. Laureata con lode in Materie Letterarie (indirizzo archeologico-artistico) e Teorie e Tecniche dell’Informazione all’Università di Sassari, è appassionata di storia sarda, con particolare attenzione alla città di Sorso. Ha collaborato con la rivista “Sardegna Antica” e curato un progetto sulla cultura sarda rivolto agli alunni di Sorso, vincendo il premio “Romangia”, sezione ” Ischolas”. Autrice di poesie in lingua turritana, variante di Sorso, è attiva nel canto corale e ha pubblicato diversi libri sulla storia e l’architettura religiosa della Romangia.
I libri pubblicati sono: La Parrocchia di San Pantaleone in Sorso. Dall’antica struttura dei Camaldolesi all’opera del francescano Antonio Cano. Architettura, arredi, argenti e associazionismo confraternale, Sassari, Carlo Delfino editore, maggio 2012; L’oratorio di Santa Croce in Sorso. Architettura e sacri arredi nella chiesa dei Disciplinati Bianchi, Cargeghe, Sassari, Editoriale Documenta, gennaio 2013; Influenze francescane in Romangia. Architettura, arredi e argenti nelle chiese di Sorso (SS). Sant’Anna, Sant’Agostino, Madonna d’Itria e Madonna Noli me tòllere, Sassari, LogoSardigna, maggio 2014; Il Popolo Sovrano in Romangia e l’era del socialista Antonio Catta. Impegno politico e sindacale in Sardegna tra Ottocento e Novecento, Firenze, Phasar edizioni, febbraio 2017.
Ha curato il catalogo della mostra etnografica ” Sulle ali della tradizione”, dedicata all’abito tradizionale di Sorso, allestita nelle sale dello storico Palazzo Baronale, sede del feudatario della Romangia; Sorso, giugno-dicembre 2023.