Il calciatore della Torres Paolo Morosi.
“Sono arrivato con l’aereo, di notte”. Paolo Morosi, classe 1939, ripesca dalla memoria l’inizio della sua avventura con la Torres. “Non si vedeva nulla. Guardiamo Sassari di giorno, faccio a mia moglie, magari ci piace”. E con la luce, in quel lontano 1964, arrivò anche l’amore e una storia decennale coi colori rossoblu tra retrocessioni, risalite, e quella fascia sinistra percorsa migliaia di volte. “Sono un mancino estroso”, chiarisce Morosi, nato a Lamporecchio in Toscana col cuore a forma di sfera. “All’inizio giocavamo con una palla di stracci. E dopo le partite le docce le facevamo nel ruscello accanto al campetto”. Era il calcio del dopoguerra, povero e in fasce ma già occupato dai talent scout. “Un osservatore mi fa prendere dalla Fiorentina allenata da Fofo Bernardini. Ci giocavano Julihno e il grande Sarti, portiere che non si buttava mai e la prendeva sempre”, prosegue.
Dai viola alla Sestese, fucina di talenti gigliati, e da lì il confronto, in giro per lo Stivale con altri giovani predestinati. “Mi ricordo Trapattoni. Per fortuna non mi ha marcato. A quei tempi stava al centrocampo”. Accanto ai piccoli le leggende: “Giocammo contro il Milan in dieci. Feci un’entrataccia su Liedholm. “Giovane, fai piano”, mi disse senza scomporsi”. La carriera del tornante toscano continua tra Palermo, Reggiana- coi grandi Martiradonna, Greatti, Simoni, Padova, dove fece un “gol alla Messi” prima della finale di Coppa. E il capitolo marcature introduce la sua esperienza torresina: 45 in 332 presenze coi rossoblu. “Ma quanti gliene ho fatti fare a Colucci, per esempio?” Proprio il tandem che, con mister Colomban, sfiorò la B nel 66/67. “Ma non avevamo rincalzi, purtroppo”, dice.
Le memorie si affollano, buone e brutte. “In trasferta ci insultavano dandoci dei pastori. A Prato reagii col gesto dell’ombrello e rischiai il linciaggio”, continua. Nel 1976 il ritiro e l’inizio di una seconda vita da allenatore del settore giovanile. “Ho insegnato professionalità e tecnica. E ho scoperto dei gioielli come Palmisano, Coghene e “Curraccia” Pinna.” E sul discorso fondamentali s’infervora pensando a un recente disastro del portiere atalantino col Real Madrid: “Come fai a sbagliare così? Ma io ti mangio, t’ingoio!” Lo spirito toscano, per un attimo, si fa strada in Paolo, ormai adottato dalla Sardegna e da Sassari. “Mi piace essere una bandiera della Torres”. Un capitolo così esteso della sua vita da volerlo riportare in un libro. “Voglio lasciare qualcosa ai miei figli”, conclude. E anche ai tifosi sassaresi che ancora oggi l’amano.