Oltre 500 le imprese digitali a Sassari.
Dalla produzione di software ai servizi informatici, dalla creazione di portali web fino all’elaborazione dati: sono ben 1.756 le imprese artigiane sarde attive nei servizi digitali e sono pronte a fornire servizi e supporti innovativi a tutta l’economia regionale. È questo ciò che emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna sulla “Transizione digitale delle PMI in Sardegna”, che ha rielaborato i dati Istat del 2021.
Un settore caratterizzato da una forte impronta artigiana: con un numero pari a 3.850 addetti, pari al 91,3% di quelli totali della filiera digitale regionale, la Sardegna è dodicesima in Italia per incidenza di occupazione artigiana sul totale. In Italia le imprese artigiane dei servizi digitali sono 88.570, quasi 236 mila gli addetti (il 54,9% del totale).
Tra le province, Cagliari conta 783 imprese artigiane con 1.932 addetti, Sassari 540 con 1.046 dipendenti, il Sud Sardegna 196 con 343 lavoratori e Nuoro 130 e 278 addetti. Chiude Oristano con 107 attività con 251 dipendenti. Da sottolineare che il Sud Sardegna, Oristano e Nuoro, sono le aree in cui la totalità degli addetti del comparto è impiegato nelle imprese artigiane.
La domanda legata a questa filiera sta trainando la ripresa del settore dei servizi a livello nazionale: nel primo trimestre 2021 la produzione di software e consulenza informatica registra ricavi in salita del 10,7% rispetto al pre-Covid-19, mentre le attività dei servizi d’informazione e altri servizi informatici del +2,8%. Nel complesso, al primo trimestre 2021, su base annua, il fatturato delle imprese dei servizi digitali è pari a 55,3 miliardi di euro.
“In Sardegna, forse più che in altre regioni, sta crescendo la propensione delle imprese a investire – commenta Fabio Mereu, Vicepresidente Regionale di Confartigianato Imprese Sardegna con delega all’Innovazione – tutto ciò è sostenuto, in larga parte, anche dagli incentivi statali per la trasformazione digitale e l’adozione di tecnologie 4.0, e favorito dai bandi promossi anche nella nostra regione”.
Però un limite allo sviluppo digitale delle imprese sarde è dato dall’ancora insufficiente livello di competenze proprio all’interno delle realtà produttive. “Questa crisi economica collegata alla pandemia ha accelerato i fenomeni di digitalizzazione da parte di tutte le imprese, incluse le micro e piccole, che hanno pressoché raddoppiato il loro tasso di adozione delle tecnologie digitali– sottolinea Mereu – però il vincolo principale alla trasformazione digitale è rappresentato dalla mancanza di competenze proprio all’interno dell’impresa, sia per quanto riguarda gli imprenditori che per quanto riguarda il capitale umano. Lo “skill gap” delle MPI sarde, come quelle del resto d’Italia, rappresenta una criticità di lunga durata e un freno alla loro competitività. Su questo dobbiamo lavorare, su questo dobbiamo intervenire e su questo le Istituzioni devono puntare. Cancellare il divario interno è diventato uno degli obiettivi primari”.
Anche il Governo ha compreso come il digitale non rappresenti più semplice opzione ma una vera e propria necessità. Infatti, per tutte le imprese italiane, e quindi anche per quelle della Sardegna, una spinta importante alla digitalizzazione potrebbe arrivare dal Recovery Fund, i fondi che l’Europa metterà a disposizione per la rinascita dell’Italia.
“Questa del Recovery Fund è un’occasione che la nostra Isola non può lasciarsi sfuggire – prosegue il vice presidente – per questo auspichiamo che anche da noi possa arrivare una cospicua fetta di finanziamenti che servirebbero a concludere il progetto della Banda Ultra Larga, ridurre al massimo i costi di transazione della trasformazione digitale e incentivare all’acquisto di soluzioni tecnologiche adeguate che portino un reale sviluppo digitale delle imprese”. “Nessuno può, infatti, dimenticare come, durante la fase acuta dell’emergenza Coronavirus, tante aziende sarde siano state costrette a chiudere improvvisamente, senza una data certa di riapertura – conclude Mereu – molte realtà hanno potuto continuare ad operare grazie a strumenti e soluzioni digitali, come lo smart working, ma anche l’e-commerce”.
La digitalizzazione ha permesso negli ultimi anni di sostenere anche il boom dell’e-commerce, che nel 2020 ha registrato una ulteriore accelerazione a seguito del crollo delle vendite nei canali distributivi tradizionali conseguente alla pandemia: le vendite online nei primi cinque mesi del 2021 crescono del 27,8% su base annua e superano del 60,9% il livello registrato nello stesso periodo del 2019. Alla crescita dell’e-commerce hanno partecipato anche le piccole imprese italiane che hanno utilizzato questo canale per sostenere le vendite durante il lockdown e i periodi di restrizione alla mobilità. Nel periodo di emergenza sanitaria sono raddoppiate rispetto a prima della crisi sia le MPI che fanno vendite di e-commerce tramite il proprio sito web sia quelle che vendono in Rete mediante comunicazioni dirette come e-mail, moduli online e social network.
Le piccole imprese che utilizzano servizi cloud in Unione europea sono passate dal 21% del 2019 al 33% del 2020, mentre in Italia, come anticipato da una nostra analisi, la crescita è stata più tumultuosa, con una quota che è triplicata, passando dal 20% al 58%.
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